Biografia

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Biografia

 

…in giugno nascono anche i gemelli, mia sorella aveva già sette anni e mio fratello sarebbe nato tra altri sette, da sempre ho vissuto la dualità della famiglia d’origine.

 

Da parte paterna, famosi inventori, ogni oggetto può essere riutilizzato in più modi e tutto intorno a casa mia era pieno di tubi, motori, riduttori, pistoni, pompe, assali, c’erano anche pezzi di camion unti, residui della prima guerra mondiale, di tutto.

 

TUTTO PUO’ ESSERE RIUTILIZZATO.

 

Da parte materna, tradizionali allevatori e coltivatori, con un impasto di cenere e lardo si poteva salvare un animale ammalato. Per capire quale fosse la sua malattia bisognava guardarlo negli occhi e chiedergli di che cosa avesse avuto bisogno, “sai ascoltare la voce di un bue?”. Tutte le domande avevano pronta una risposta nel cuore della natura.

 

Le mie gambe dai 4 ai 30 hanno sempre avuto da qualche parte una o più sbucciature e il disinfettante l’ho conosciuto a 21 anni quando ho cominciato a stare con una ragazza terrorizzata dai batteri.

 

Il dolore vero, quello grande era invece la scuola: “tutti gli altri bambini sono capaci di stare seduti sulla sedia, sanno leggere e scrivere e tu Aronne? Perché non hai ancora imparato a scrivere il tuo nome? Lo abbiamo scritto assieme 100 volte!”.

 

Io sapevo usare pinze e cacciaviti, sapevo calmare un gattino che piange, sapevo guidare un trattore cingolato, ma non riuscivo a stare seduto sulla sedia a scuola, gli altri bambini scrivevano e poi sapevano leggere ciò che avevano scritto.

 

Io correvo velocissimo, tenevo le mani aperte per essere più aerodinamico, di notte le mie mani si scaldavano sotto il cuscino tanto che a volte temevo si sarebbero incendiate; così andavo in bagno a metterle sotto il rubinetto. Di notte anche il mio cervello correva, a volte mi svegliavo a disegnare, “ma se prendo uno specchio, lo arrotolo su se stesso creando una palla con la parte che riflette verso l’interno e poi ci metto dentro una lampadina, e se poi lascio la lampadina accesa a spruzzare luce, questa la spruzza e rimbalza sulle pareti interne dello specchio sferico all’infinito, e se poi faccio un buchetto nello specchio? Tutta la luce che fino ad allora ha rimbalzato esce di colpo? Un flash? Un raggio laser? Un accumulatore di luce?”

 

Ma gli altri bambini sapevano leggere, non pensavano a strane invenzioni, non facevano esasperare la maestra ne arrabbiare la mamma, LORO ERANO BRAVI BAMBINI.

 

Alle medie quando mi sono accorto che la cosa non sarebbe migliorata, mi sono anche reso conto che non valeva la pena soffrire troppo, era inutile disperarsi, “tanto prima o poi morirò e tutto finirà”. Questo pensiero poi ha preso una brutta direzione, ma chi lo avrebbe immaginato a quel tempo? Io ero solo un bambino stufo di sentirsi dire che non andavo bene. Come avrei potuto immaginare l’effetto che la frase “tanto prima o poi morirò” avrebbe avuto su di me? Come potevo sapere che sarebbe rimasta un loop, una via di fuga dalla sofferenza tanto facile e tanto presente da diventare un pensiero costante e ossessivo nella mia testa?

 

A scuola io avevo le ginocchia grattate, le mani unte, “giuro le ho lavate” dicevo, solo che l’olio del motore si impregna sotto le unghie e nelle rughe dei calli delle mani e ci mette giorni ad andare via, e tutto intorno a casa mia era meccanica, “ma tanto prima o poi morirò” nessuno mi dirà più che sono unto.

 

I colloqui scuola/genitori erano la più grande delle torture: i miei erano in ansia dal giorno prima e rimanevo in punizione per settimane, poveretti… se ne sentivano di cotte e di crude da professori esasperati, che speravano che spingendo i miei a castigarmi sarei diventato più docile da educare, come se far sentire loro in colpa delle mie incapacità mi potesse migliorare, o potesse vendicare la loro frustrazione. “Ma tanto prima o poi morirò” non li farò soffrire ancora inutilmente.

 

All’inizio della terza media la prof di italiano chiamò mia madre per un colloquio: “siamo esasperati noi professori, di questo passo non riuscirà a passare l’anno, ma se dovesse riuscirci vi consiglio di trovargli un lavoro, non è fatto per la scuola”.

 

A quel tempo mia madre faceva le medie serali, che idea fantastica!

 

Partecipai alle lezioni mattina e sera, il pomeriggio una professoressa mi dava ripetizioni, fu incorniciata la mia prima poesia e uscii dalla terza media con Buono! Fanculo professoressa.

 

Lavorai d’estate come aiuto tipografo, (il mio primo lavoro in fabbrica) spazzavo il pavimento e portavo la carta. Quell’anno mi innamorai di Carla, non ero pulito, ma avevo un fisico robusto, guidavo da anni il motorino, ed ero peloso. Capii che oltre ai motori mi piacevano le ragazze, già avevo avuto qualche storiella alle medie, ma quell’estate capii che le ragazze erano meglio.

 

Iniziai al centro di formazione professionale, prevedevo 2 anni di scuola di meccanica prima di entrare in fabbrica, avevo paura, ma visto il “buono” della terza media forse ce la potevo fare.

 

Fuori da scuola elaboravo i motorini di tutti, scrivevo poesie d’amore ed iniziai la mia prima storia seria, ma la cosa più bella è che non ero più il peggiore a scuola, anzi… ero tra i migliori, a parte la difficoltà nel leggere e scrivere, me la cavavo molto bene con le materie pratiche.

 

Alcuni miei compagni di classe facevano uso di droghe pesanti e qualcuno finì molto male, a quel tempo la regola implicita era che gli adulti dicevano solo stronzate.

 

Uno aveva 19 anni ed era con noi in prima superiore. Il venerdì, il sabato e la domenica uscivo, nella mia compagnia ero tra i più disinibiti, andavo nei paesi vicini, conoscevo altra gente e avevo la fidanzata di un’altra compagnia e questo non piaceva agli amici d’infanzia. Un giorno eravamo al bar del mio paese natale con le persone con cui avevo trascorso asilo, elementari e parte delle medie e con cui giocavo ai videogiochi. Tornato al tavolino dove pochi minuti prima si chiacchierava, tutti i miei amici erano spariti senza avvisarmi; io non capivo, avevo pensato che si fossero dimenticati di me, un po’ triste me ne sono andato. Passando davanti a casa di Alessandro, ho visto i motorini parcheggiati. Lui aveva un anno più di me, era pulito e profumato, ma io ero forte e sviluppato. Mi sono fermato ed ho suonato il campanello, io non lo avevo capito, credevo che non avessero sentito il campanello, quindi ho suonato di nuovo, ma Alessandro mi ha mandato via insultandomi attraverso le finestre semichiuse. In quel momento capii. Tornai a casa, per un po’ rimasi a rimuginare .. “Ma quando sarei morto? Perché era successo?” Ho impiegato un po’ di anni per capirne il vero motivo, in quel momento ci ho sofferto. Velocemente ho trovato amici molto più divertenti e organizzati, però mi dispiaceva essere stato rifiutato dai bambini belli, bravi e puliti con cui avevo passato l’infanzia.

 

Per strada ci sono i cani randagi e, come cane randagio, io avevo più storie e avventure da raccontare alle ragazze che incrociavo.

 

L’estate feci il falegname, finestre e porte in legno massiccio, al tempo prendevo quattromila lire equivalenti ad un pacchetto di Marlboro all’ora, molti di più della maggior parte dei miei coetanei bravi belli e puliti. Amavo la mia fidanzata, facevamo l’amore continuamente, un giorno i suoi ci hanno beccati e successivamente anche i miei: non fu un momento felice, non che non lo facessimo di nascosto, è che lo facevamo di continuo.

 

Da programma la seconda superiore come la terza media avrebbe dovuto essere l’ultimo anno per poi andare in fabbrica, ma io in fabbrica ci ero già stato e sapevo che potevo fare qualche cosa di più divertente. Lessi i principali libri di Freud e Jung, che si rivelarono mattonate micidiali! Ma io lessi a testa bassa, credevo di poter capire la dinamica della psiche come si capisce la termodinamica del motore.

 

L’estate dopo il secondo anno di scuola andai in cantiere a fare il manovale. Che bel lavoro il manovale, uno tra i più belli del mondo! Poi cambiai motorino e per la prima volta nella mia vita ne comperai uno quasi nuovo, finì la storia d’amore e mi iscrissi al terzo anno di scuola superiore. Ancora una volta questo avrebbe dovuto essere l’ultimo, come in un vicolo cieco la strada del CFP finiva lì, non c’erano altre possibilità, ma io ero un tipo fortunato, feci un corso speciale con altri sei miei compagni. Andavo a scuola tutte le mattine tutti i pomeriggi per recuperare quanto nelle scuole normali avevano imparato in 3 anni, alla fine affrontai due esami, uno al CFP ed uno di ammissione all’IPSIA, una scuola normale con persone normali. Dovetti ripetere la terza, ma ce la feci. A quel punto cominciai a credere di poter ottenere qualsiasi cosa volessi nella vita, mi bastava un po’ di fortuna e farcela.

 

In terza all’IPSIA, come successe per tre anni al CFP, venni subito eletto rappresentante di classe. Leggevo psicologia, ci provavo con le ragazze, sapevo usare le principali macchine utensili, disegnavo con Autocad, programmavo CNC, aggiustavo motori, scrivevo poesie, guidavo la ruspa cingolata e il trattore, eppure non avevo avuto il coraggio che serve per morire. Il mantra “tanto prima o poi morirò” era avvinghiato al mio DNA, ma io ero vivo. Quindi morivo puntualmente il sabato sera per rialzarmi il lunedì mattina.

 

L’estate successiva feci il falegname in un’azienda che si occupava di costruire tetti in legno lamellare, mentre tra la quarta e quinta IPSIA ho lavorato per un’importante azienda di trasporti: lavavo camion, scaricavo e caricavo verdura, ingrassavo alberi cardanici e talvolta guidavo nel parcheggio bilici giganteschi (esperienza davvero interessante). In quinta IPSIA, invece, il sabato e la domenica facevo il pizzaiolo così dopo 7 giorni dalla maturità sono andato via di casa.

 

Pizzaiolo sul lago di Garda, vitto e alloggio gratis, 10 h al giorno! La mia ragazza di allora andava all’università a Trieste, viveva in una stanzetta con il pavimento in legno e le finestre bianche, a volte alle 6 di sera in pizzeria mi ricordavo i momenti con lei, momenti in cui avevo marinato la scuola per fare 6 ore di treno e 3 ore d’amore coprendo ogni angolo della fresca stanzetta. Alle sei di sera in pizzeria era caldo, il sole rimbalzava bastardo sul lago, oltre che arrivare diretto dalla vetrata, il forno a legna era a 260 gradi e il mio compagno di lavoro Kalid talvolta usava una sostanza che si chiamava SPEED; non era bello da vedere.

 

Dalle 15 alle 17 avevo pausa al lavoro, mi iscrissi per il test d’ingresso a Psicologia e sempre in quell’orario mi preparai, logica, cultura generale ed epistemologia (se non sbaglio). Mi sentivo svantaggiato, nessuno aveva studiato meccanica prima di fare quel test, tutti avevano chiara le geografia, la storia, l’italiano. Telefonai a mia madre e a mia nonna: “per favore accendete la candela e dite una preghiera, vado a fare un test all’università”. Dopo poche migliaia di pizze ricevetti la splendida notizia. Lì capii che tutto era possibile nella vita!

 

Per più di un anno non lavorai, feci solo lo studente universitario. Era bello, ma le parole sul libro di psicologia generale erano piccole e nere e si susseguivano una dietro l’altra di continuo, formando pagine che, come le parole, si incalzavano una dietro l’altra di continuo. “Perbacco! Interessanti, belle! Ma dure!” Io facevo fatica, leggevo nel doppio del tempo degli altri; il doppio! Un giorno, ad esempio, stavo studiando e dovetti fermarmi un attimo per fare la pipì. Successivamente ricominciai a leggere, mi ci sono volute quasi due ore per accorgermi che stavo studiando pagine che avevo già studiato poche ore prima, le avevo appena lette e già non le ricordavo, proprio come alle elementari o come alle medie. Il libro aveva più di 300 pagine, nella mia vita non l’avevo nemmeno mai letto un libro così, figuriamoci studiarlo… Allora capii che la situazione era complicata, come trovarmi con la ruspa davanti a una montagna di terra troppo grande e troppo compressa. Ecco che tutto mi era di nuovo chiaro, dovevo abbassare la pala, accelerare tutto e continuare e continuare fino a che la montagna non sarebbe sparita. Così feci e presi 30, il mio primo esame 30… non ci credevo… cominciai davvero a pensare che tutto era possibile nella vita.

 

Mi conveniva voler vivere. Conobbi Magda, Maia, Masha e Sabina, 3 ragazze croate (si erano tre) che praticavano il Reiki, mi chiesi se era possibile e mi risposi che non tutto era comprensibile e razionalizzabile come la meccanica. Ringrazio queste tre ragazze, perché per merito loro in quel periodo capii anche che non sarei morto, ma desiderarlo alimentava il circolo vizioso nel quale sguazzavo da troppo tempo, quindi decisi di desiderare di essere vivo, sapevo che l’aver sperato il contrario, per anni, si era avvinghiato al mio DNA, condizionandomi la vita. Sapevo anche che ci sarebbero voluti anni per scrostarmi di dosso questo pensiero, ma capii che dovevo farlo.

 

Alla fine del primo anno universitario avevo una media non molto alta, ma ero in linea con gli esami. Presi uno zaino e partii in Interrail per Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo da solo, quel viaggio mi ricordò che è più divertente stare in compagnia; però fu una esperienza grandiosa.

 

Durante il secondo anno ripresi a lavorare il fine settimana in pizzeria, 600 euro al mese lavorando poche ore venerdì, sabato e domenica. Bene… il mio programma mediamente era questo: ogni giorno mi svegliavo massimo alle 8:30, seguivo le lezioni in base al programma, il resto del tempo durante il giorno studiavo, cazzeggiavo con gli amici in stanza e facevo l’amore; la sera cenavo sempre in compagnia o da me o da altri, vivevo infatti in una casa dello studente con altri 100 ragazzi circa ed era sempre festa. Dopo cena si andava in piazza per i vari Spritzzetti tradizionali, a quel tempo la piazza era colma di gente, abbandonavo la festa a metà e andavo a dormire, ma la mattina mi sentivo una tigre! Comprai una moto vera, una Yamaha Virago 535, bellissima, la amavo, mi sentivo fichissimo, era davvero straordinaria!

 

La tesi della triennale fu comica: la mia relatrice era incredula, credeva che la prendessi in giro e mi rimandava a casa con le correzioni da fare: “Ma come fai a non saper leggere e scrivere?”. Ma sempre a forza di spingere, mi sono laureato.

 

Tolto il piede dall’acceleratore e guardatomi allo specchio, ero stremato, esausto. Traumatizzato dalla fatica, non volevo più aprire un libro. Mi strinsi la mano e mi complimentai con me stesso, mi dissi che bastava così.

 

Non mi iscrissi alla specialistica.

 

Partii per un interessante viaggio in Italia, al ritorno ricevetti una notizia divertente: vinta la borsa di studio per Erasmus in Portogallo, Lisbona! Ricordai con fatica di aver fatto la domanda più di un anno prima. “Bella, mi sono meritato un anno sabbatico in Portogallo, studierò danza, massaggio e musica, ma soprattutto chissenefrega dell’università, vado a divertirmi!!!”. Così partii per la specialistica. Vivevo in una piccola via carina, vicino al centro, Rua Dr Almirante Rais. Mi iscrissi ad una scuola di danza, di massaggio ed entrai nella banda percussioni di Lisbona; dopo circa un mese di cazzeggio, capii che dovevo per forza dare 4 esami per avere la borsa di studio. “Nooooo la festa era finita?” Mah… provai 5 esami il primo semestre, fui promosso a 4. “WOW!” Ci presi gusto e il secondo semestre ne provai altrettanti e finii l’anno con nove esami all’attivo. Mi innamorai di una portoghese, andammo a vivere assieme, alla fine di giugno andammo a lavorare in una pizzeria del sud, al confine con la Spagna. Durammo una settimana a circa 3 euro l’ora, ma desideravamo essere pagati di più, per questo partimmo per il Marocco; 100 euro per 10 giorni sono pochi per viaggiare, ma ci bastarono. Talvolta accadeva che qualche marocchino ci chiedesse uno spicciolo, e qualche volta finiva per darlo a noi, fu tutto molto bello, a parte l’intossicazione alimentare con la quale la mia compagna tornò da quel viaggio.

 

Ritornato in Italia decisi di concludere la Specialistica, mi mancavano pochi esami, potevo farcela, trovai una sistemazione per la mia compagna che mi seguì dopo 3 mesi, intanto cominciai a danzare ovunque, provai circa in tutte le scuole di Padova: classica, break, contemporanea, hip hop, moderna, afro, di tutto! Presto mi resi conto che in compagnia della danza tutto era più facile; decisi di allestire una compagnia di danza mia, per la prima volta feci il coreografo. Finii a fatica gli esami, finì la relazione con la portoghese, creai una tesi sulla danza, molto meglio della prima bozza, infatti la mia magnifica prof. Zorino Maria Romana, mi aiutò accogliendomi calorosamente, mi laureai di nuovo e, come la prima volta, ne uscii esausto. Quando tolsi il piede dall’acceleratore e alzai la testa mi vidi di nuovo sfinito, non avevo pianto per la conclusione della storia con la portoghese, non avevo portato attenzione a ciò che mi stava capitando attorno in quei mesi, avevo bisogno di piangere, perché da quando avevo deciso di voler vivere, dovevo anche accettare la stanchezza e la sofferenza come parte di una sana vita.

 

Salutai tutti e partii da solo per Berlino. Sapevo che sarebbe stato difficile, ma sapevo di avere bisogno di piangere. Alle 8 del mattino arrivai, alle 12 avevo un lavoro, ci vollero quasi due settimane per togliere il mio zaino dal freddo armadietto di metallo del dormitorio dell’ostello; eravamo circa 8 in stanza, ma grazie al cielo trovai un buon appartamento e piansi. Fui casto per circa 2 mesi e mezzo, dopo poco tempo entrai a far parte di una compagnia di danza e appena ebbi pianto avevo bisogno di piangere ancora e chiamai la mia attuale compagna, “ciao! Come stai? Sono pronto, sali da me?” in meno di una settimana lei arrivò e facemmo l’amore per vari giorni. Abbandonai il lavoro, diedi uno spettacolo di danza in tedesco, il mio primo spettacolo internazionale. Che supermegaspettacolo!

 

https://www.youtube.com/watch?v=nj_oLeYmX-I&t=570s (io ero quello con le mutande a strisce).

 

A casa dei miei.

 

Tornai a vivere dai miei genitori, durai pochissimo, avevo bisogno di scappare, decisi di iscrivermi all’albo degli Psicologi. Un anno di tirocinio, altri libri di studio, esami… ma valeva la pena pur di andarmene di casa.

 

Albo degli psicologi.

 

Tornai a vivere a Padova, feci un tirocinio in una scuola di psicoterapia, tutte queste brave ragazze che piangevano mi infastidivano un po’, ad una era morto il gatto, l’altra era stata rifiutata dal fidanzato, l’altra non trovava lavoro, l’altra piangeva perché aveva litigato con la mamma. Non ero pronto per accogliere la sofferenza altrui, troppi anni a negare la mia, mi avevano reso poco sensibile, ma stavo imparando.

 

Andai a vivere in un miniappartamento di 26 metri quadrati insieme alla mia compagna.

 

Più tardi ebbi un altro tirocinio, facevo il consulente di formazione interna per una importante azienda informatica, che figata! Organizzavo le persone, le aiutavo, le accompagnavo verso la loro crescita personale e professionale. Bello! Mentre facevo il tirocinio la sera lavoravo in una pizzeria, ero il capo pizzaioli, la cosa divertente era che la pizzeria era al piano terra e il mio monolocale era al primo piano. Spesso il pomeriggio racimolavo qualche soldo aggiustando le biciclette. Finito il tirocinio, ho passato un po’ di giorni e un po’ di notti sui libri, ho fatto l’esame di Stato; la commissione d’esame era incredula nel vedere gli errori ortografici, ma sapevo quanto dovevo sapere, così sono diventato ufficialmente Psicologo.

 

L’associazione psicologi senza frontiere ha accettato di aiutarmi per un viaggio in Senegal: volevo ballare e suonare! Sono stato là con la mia compagna per cercare di capire se la musica e la danza aiutano la relazione interraziale ed è stato molto bello.

 

Ritorno a Verona.

 

Sapevo che non avrei sopportato il vivere in famiglia, c’era un edificio con i muri in cemento, senza piastrelle né sanitari, non c’era l’impianto elettrico, né l’acqua, c’era il tetto, le porte e quasi tutte le finestre. La sera facevo il pizzaiolo, alcuni giorni facevo il formatore e insegnavo italiano agli stranieri, domavo adolescenti bizzarri, insomma, un po’ di tutto.

 

Gli altri giorni lavoravo all’edificio, doveva diventare una casa, ma intanto vivevo dai miei.

 

Trasferimento.

 

Mi trasferii nel mio edificio con la mia compagna, la notte usavamo le candele per farci luce, per lavarci i denti avevamo una bottiglia di plastica piena d’acqua, ma nel giro di un anno l’edificio diventò una romantica casetta, ricevetti in prestito dei soldi dai miei, che restituii nel giro di 2 anni.

 

Finché mi sistemavo lavorativamente, facevo un po’ di tutto, ma soprattutto formazione in italiano per stranieri, comunicazione, tecniche di persuasione, gestione dello stress, sicurezza sul lavoro, progettazione di carriere di professionali, marketing, corsi per pizzaioli, meccanica, elettrotecnica, micro lingua italiana per il settore metalmeccanico, informatica di base, insomma… proprio di tutto.

 

Iniziai finalmente a vedere persone. Praticavo quindi la professione dello Psicologo.

 

Nel 2012 la principale azienda per la quale facevo formazione fallì, lasciando un credito importante di soldi, che non ho più visto. E questo mi diede fastidio.

 

Ma ora avevo più tempo e decisi così, di fare qualche cosa di estremamente divertente.

 

Mio zio aveva 66 anni, da sempre faceva il meccanico. Si alzava alle 10 del mattino andava al bar a prendere il caffè anche se c’erano cinque o dieci persone che aspettavano i suoi consigli.

 

Alle 10, prima di tutti i suoi clienti, un mattino lo aspettai fuori da casa sua: “Zio, oggi lavoro per te.” Lui rispose: “Ok ,ma non fare domande” e così fu. Facevo piccole manutenzioni e lavoretti vari in cambio di una mancia ad offerta libera.

 

Si sparse la voce e ben presto una fila di clienti mi aspettavano; non nascondo che a volte ero bloccato, non sapevo come aggiustare un motore o un tagliaerba e cedevo alla tentazione di fare domande: ” Zio come posso fare?” lui puntualmente rispondeva: ”ghe vol ocio par maiar el polame!” Io capivo, quindi dopo 4 o 5 tentativi risolvevo autonomamente il problema.

 

Ghe vol ocio par maiar el polame significa che se ti trovi in difficoltà devi allontanarti dal problema, guardarlo, e poi riprovare, questo ti permette di trovare la soluzione in modo autonomo, rinforzandoti sia dal punto di vista delle competenze, che dal punto di vista delle abilità di Problem Solving. Se rincorri un pollo senza programmarti, lui sarà più veloce di te e quando si stuferà di correre, volerà, quindi tu farai la figura del pollo. Se mio zio avesse risposto alla mia domanda, io non avrei imparato a risolvere i problemi in modo autonomo. Avrei solo aumentato la mia dipendenza.

 

In effetti aveva tremendamente ragione, il primo periodo faticavo molto, ma poi imparai a risolvere più o meno tutto. Amavo la meccanica, ma preferivo la psicologia.

 

Tornai alla formazione e vidi finalmente le persone esaudire i propri desideri seguendo i miei consigli.

 

Nel 2013 iniziai a progettare un’altra casa con mio padre e mio fratello. Si trattava di un permesso di costruire, ricevuto dopo diversi anni, non era il momento per investire, ma nemmeno il momento per perdere l’occasione. Progettammo uno spazio grande con finestroni giganti. Inizialmente si trattava solo di un investimento, poi nel 2016 ci siamo arenati. Nel 2017 in accordo con tutta la famiglia ho preso in mano i lavori in modo autonomo per concludere la struttura. Decisi di costruire il Centro Vibrazionale.

 

Nel 2013 ho espresso il desiderio di avere un contratto a tempo indeterminato, nel 2014 un concorso, nel 2016 ho preso il contratto indeterminato, nel 2018 ho dato le dimissioni.

 

Nel 2013 avevo anche espresso il desiderio di avere un figlio e nel 2014 lo abbiamo concepito. Il 1 Gennaio 2015 è nato. Fare il papà lo puoi spiegare a chi ha figli. Se non hai figli non puoi capire.

 

Nel 2014 ho pubblicato “LA DANZA COME STRUMENTO CREATIVO”, un libro che mette in relazione la danza, come ripetizione precisa della procedura, con la danza come creazione generativa di un nuovo movimento e modo di essere corpo.

 

Questo libro mi ha permesso di porre l’attenzione su come si imparano nuovi modi di essere.

 

Nel 2015 ho deciso di diventare sessuologo e nel 2017 lo sono diventato.

 

Successivamente ho cominciato a frequentare vari seminari di meditazione e Tantra.

 

Nel 2016 ho pubblicato “PRENDERE LA PATENTE IL METODO SEMPLICE VELOCE E DIVERTENTE E LO STUPIDARIO DELL’AUTOSCUOLA” in collaborazione con Benedetto Martorana presidente del consorzio autoscuole Buscar, abbiamo pubblicato questo libro per aiutare i patentandi ad affrontare questo rito di passaggio.

 

Nel 2017 ho deciso di trasferirmi nel contro vibrazionale, essere psicologo significa a volte credere in sogni apparentemente impossibili ed investire per realizzarli, sai quanto costa costruire una casa? Se avessi ascoltato i professionisti che mi facevano i preventivi non sarei nemmeno partito, mi sono vestito da professionista e l’ho costruita con l’aiuto di qualche prezioso amico.

 

Nel 2019 mi sono trasferito.

 

Nel 2020 ho costruito anche il mio nuovo studio, sono partito da uno scarrabile arrugginito di ferro vecchio, ho accolto materiale di riciclo gli ho dato una nuova vita e ho chiamato questa mia opera “GRAZIE”.

 

Nel 2021 ho pubblicato il libro “MINDFULNESS E PLUSVALORE PER FORMATORI INCISIVI”, ringrazio l’amico Jacopo Virgili, Veronica Righetti e Riccardo Decol che hanno corretto il mio operato fino all’esasperazione; se sei dislessico e disortografico e devi scrivere un libro è probabile che qualcuno ti mandi in psichiatria a farti vedere. Li ringrazio perchè per merito loro ora il centro di neuropsichiatria ha certificato il mio “DISTURBO SPECIFICO DELL’APPRENDIMENTO” e finalmente posso dire di non essere  completamente idiota, ho solo problemi a leggere e a scrivere.

 

 

 

Lo stesso anno ho pubblicato istruzioni per prendere la patente in modo furbo in collaborazione con Angelo e Fabio dell’autoscuola Cita si San Pietro in Cariano e Arbizzano.

 

Attualmente amo costruire, aggiustare e manipolare i sogni con mio figlio, dedico a questo la maggior parte del mio tempo libero, per il resto lavoro, insegno, costruisco, accompagno, accolgo, empatizzo e aiuto le persone a diventare quello che vogliono diventare.

 

Durante il mio percorso ho dedicato tanto tempo a conoscere persone molto differenti tra loro, dalla comunità per tossicodipendenti ai danzatori di Berlino, ai punkabbestia di Marsilia ai pizzaioli portoghesi ai musicisti senegalesi agli imprenditori milionari, ed ho imparato che non esiste un unico credo. Ogni persona ha il proprio modo di vivere ed è giusto che viva al meglio che può. So di non essere umanamente migliore o peggiore di altri. So che ognuno può stare meglio o peggio nel contesto in cui si trova per questo ho imparato a non dare mai niente per scontato.